Il quotidiano La Stampa festeggia in questi giorni
in pompa magna i 150 anni dalla fondazione, forse l’ultima festa come
commentano da tempo i giornalisti nei corridoi di un open space asettico e
senza storia dopo il trasloco da via Marenco. Potrebbe essere l’ultimo colpo di
coda, il passo successivo sarà la richiesta di una mano alle istituzioni per
non far morire l’ultima voce, nel bene e nel male, del territorio. Le tv, Rai 3
compresa, sono strozzate e senza mezzi per un’informazione capillare, La Stampa
è stata ceduta di recente dagli Elkann al gruppo di De Benedetti (Repubblica-La
Stampa un pastone unico). In attesa di decidere che farne, sono in atto tagli
verticali all’interno delle redazioni, ridimensionamento nei numeri dei
giornalisti, uno stato di crisi in scadenza che potrebbe essere ripetuto dopo
il periodo tecnico di sospensione. La Stampa come la Fiat avrà bisogno di altri
aiuti e sostegni ma non essendo core business centrale a differenza di Fca,
come ramo secco finirà per staccarsi definitivamente dall’albero.
Spiace che tutta la strategia un tempo degli
Agnelli, oggi dei nipoti, di sbarazzarsi della concorrenza in tutti i rami
aziendali dall’auto (le regalìe per l’Alfa Romeo marchio di Stato), alla
comunicazione (Gazzetta del Popolo), allo sport (Torino calcio) rischi di lasciare
alla fine il deserto culturale ed industriale in una città cresciuta nel ’90 in
funzione della Fiat.
Spiace che nel festeggiare i suoi 150 anni La
Stampa, assurgendo come monumento dell’informazione, abbia dimenticato come i
numeri in edicola non fossero proprio brillanti neppure negli anni ’70, tutt’altro,
tanto da soffocare la Gazzetta del Popolo che nella Grande e nelle province
piemontesi, Torino esclusa vendeva assai di più del giornale della Fiat.
Io in corso Valdocco ci sono nato, nel palazzo di
fronte al numero 3, sede della Gazzetta del Popolo, oggi palazzo Oreal, ho
respirato fin da bambino l’aria dell’inchiostro ed il rumore delle linotype ma
quando mi sono affacciato sulla soglia per intraprendere la professione la
Gazzetta stava agonizzando. Per mia fortuna l’amministratore delegato dell’epoca
mi ha preso in simpatia e vista la mia cocciutaggine mi ha chiesto se volevo
passare alla carta stampata dopo l’esperienza televisiva, lontano da casa, in
un altro giornale, le simile alla Gazzetta per filosofia e radicamento, il
Gazzettino , a Venezia, e così è stato.
170 ANNI DI GAZZETTA Tornando alla Gazzetta del
Popolo, oggi il quotidiano Piemontese se fosse ancora in vita si appresterebbe
a festeggiare non 150, ma 170 anni dalla fondazione nel lontano 1848. In Largo
IV Novembre nel cuore del Quadrilatero, a Torino, forse qualcuno avrà notato la
statua che stringe nella mano un giornale: si tratta di Giovanni Battista
Bottero, uno dei fondatori. Proprio su questa piazza uscivano i numeri freschi
di stampa del giornale, lanciato nel 1848 sullo sfondo di un contesto politico
delicato. Parte non indifferente giocò La Gazzetta del Popolo, nell’appoggiare
la politica di Cavour durante tutto il Risorgimento. Al lettore era proposta al
prezzo di cinque centesimi, ragione che in parte ne spiega il successo e la
diffusione, dovuta anche al taglio patriottico incoraggiato dall’entusiasmo crescente
che trionfò con l’Unificazione del 1861.
Opponendosi a qualunque influenza del clero sulla
politica italiana, il quotidiano si concentrò su questioni care alla nascente
borghesia liberale cui si rivolgeva, rendendosi portavoce di opinioni vicine a
Crispi e mantenendo piena autonomia anche durante il fascismo. La Gazzetta del
Popolo è stata una “scuola” riconosciuta di giornalismo per grandi firme che
hanno trovato nel giornale un ambiente irripetibile per potersi formare, affrontando
e superando anche le difficoltà più ardue. Come quando nel 1974, attraverso
l’autogestione, si opposero con successo alla chiusura, e riuscirono a
prolungare la vita del quotidiano. Peccato per l’accanimento giudiziario ed un
fallimento pilotato, si sapeva da chi ma non ci si poteva opporre allora…I colleghi
si sono sparpagliati nel mondo dell’informazione: dalla Stampa a Repubblica,
dalla Rai al Corriere a Tuttosport all’Ansa. Un breve e doveroso ricordo, chapeaux.
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