martedì 28 febbraio 2017

BELOTTI E MIHAJLOVIC E' STATO BELLO...





Andrea Belotti, Joe Hart e poco altro. Il Torino è tutto qui, o quasi, almeno nel 2017. Una sola vittoria in otto giornate, una media salvezza, la quinta peggior difesa del campionato. Nonostante il capocannoniere della serie A (19 reti come Higuain e Dzeko), il quarto attacco più prolifico (48 reti) ed i miracoli del portiere più richiesto dalla Premier per la prossima stagione. Un  biglietto da visita tutt’altro che lusinghiero per chi sta già pensando alla squadra che verrà, a correggere gli errori per la prossima stagione. Va bene il gioco offensivo che fa spellare le mani ai tifosi granata, ma ci vuole un po’ di buonsenso, e di equilibrio tattico per puntare nelle zone alte della classifica, per non rendere inutili i gol di Belotti e compagni nel corso della stessa partita. Anche per questo Belotti e Mihajlovic sono destinati all’addio, il primo uno spreco in una squadra colabrodo, il secondo con alte mire e un preaccordo con la Cina.
RIGORI Il dischetto del rigore ha giocato un brutto scherzo a Belotti in chiave di classifica cannonieri (3 rigori sbagliati) ed al Toro per i punti persi. Su nove calci di rigore guadagnati, solo quattro sono stati trasformati (2 Iago Falque, 1 Belotti e Ljajic), di questi uno solo decisivo (2-2 Torino-Lazio) ai fini del risultato finale. Dei cinque penalty sbagliati solo uno non ha influito ai fini del risultato (Torino-Bologna 5-1). In tre casi la gara è finita in parità, una sconfitta invece con il Milan (3-2) a S.Siro per un totale ipotetico di 7 punti persi in classifica. “Le ho provate tutte e tutti i giocatori ma la palla dal dischetto non entra. Colpa della pressione, in allenamento proviamo e riproviamo poi in partita li sbagliamo. I rigori li calcerà comunque ancora il Gallo – le parole di Mihajlovic-. Se Belotti non avesse sbagliato i tre rigori sarebbe già capocannoniere assoluto. Ha ampi margini di miglioramento e per diventare il miglior attaccante del campionato e della nazionale. Ha grande carattere, dopo il rigore sbagliato ha azzerato la sua partita e segnato una doppietta”. Belotti con la doppietta alla Fiorentina condivide con Higuiain e Dzeko il terzo posto per la Scarpa d’oro, trofeo di cannoniere europeo che vede al momento in testa Messi a due lunghezze e Cavani ad un punto di distanza. Intanto la classifica cannonieri. “Peccato per il rigore sbagliato, potevo essere davanti da solo ma purtroppo quest’anno non c’è verso di buttarla dentro – le parole di Belotti- devo allenarmi sulla lucidità e sulla freddezza dagli undici metri. Pronto per il grande salto? Io sono pronto per il Toro e per far bene per questa squadra, il futuro non lo conosce nessuno e per adesso io sto bene qui”.
RIVOLUZIONE Sfumato l’obiettivo Europa, nelle ultime dodici giornate proseguiranno gli esperimenti in vista della prossima stagione che rischia di essere di nuovo in salita viste le premesse, con cinque sei titolari sicuri, altrettanti con soluzioni aperte di mercato (Baselli, Belotti, Zappacosta in uscita), fine prestiti e scadenze di contratto. Poche certezze, allenatore compreso. “Io ho voglia di Toro, come l’ho avuta il primo giorno. Cerco sempre di dare il massimo, al di là dei risultati positivi e negativi vado per la mia strada. La mia voglia di lavorare c’è, e ci sarà sempre, finché farò questo lavoro che faccio con passione, ci stiamo guardando intorno per il prossimo anno, stiamo guardando diversi tipi di giocatori, ci stiamo muovendo. Vedremo se poi riusciremo a prenderli“. In attesa di capire il destino di Mihajlovic, cinque giocatori sono già a fine corsa, Castan, Hart e Iturbe(fine prestito), Molinaro, Moretti e Padelli (fine contratto), Obi e Ajeti (fiducia scaduta). Acquah, Avelar, Gustafson, De Silvestri si giocano tanto nel finale di stagione, sospesi ad un filo Carlao, Avelar e Maxi Lopez. Con la valigia pronta per richieste di mercato Belotti, Baselli e Zappacosta. Riconfermati Barreca, Benassi, Boyè, Iago Falque, Ljajic, Lukic, Rossettini, Valdifiori.

venerdì 10 febbraio 2017

La Busiarda compie 150 anni



                                               


Il quotidiano La Stampa festeggia in questi giorni in pompa magna i 150 anni dalla fondazione, forse l’ultima festa come commentano da tempo i giornalisti nei corridoi di un open space asettico e senza storia dopo il trasloco da via Marenco. Potrebbe essere l’ultimo colpo di coda, il passo successivo sarà la richiesta di una mano alle istituzioni per non far morire l’ultima voce, nel bene e nel male, del territorio. Le tv, Rai 3 compresa, sono strozzate e senza mezzi per un’informazione capillare, La Stampa è stata ceduta di recente dagli Elkann al gruppo di De Benedetti (Repubblica-La Stampa un pastone unico). In attesa di decidere che farne, sono in atto tagli verticali all’interno delle redazioni, ridimensionamento nei numeri dei giornalisti, uno stato di crisi in scadenza che potrebbe essere ripetuto dopo il periodo tecnico di sospensione. La Stampa come la Fiat avrà bisogno di altri aiuti e sostegni ma non essendo core business centrale a differenza di Fca, come ramo secco finirà per staccarsi definitivamente dall’albero.
Spiace che tutta la strategia un tempo degli Agnelli, oggi dei nipoti, di sbarazzarsi della concorrenza in tutti i rami aziendali dall’auto (le regalìe per l’Alfa Romeo marchio di Stato), alla comunicazione (Gazzetta del Popolo), allo sport (Torino calcio) rischi di lasciare alla fine il deserto culturale ed industriale in una città cresciuta nel ’90 in funzione della Fiat.
Spiace che nel festeggiare i suoi 150 anni La Stampa, assurgendo come monumento dell’informazione, abbia dimenticato come i numeri in edicola non fossero proprio brillanti neppure negli anni ’70, tutt’altro, tanto da soffocare la Gazzetta del Popolo che nella Grande e nelle province piemontesi, Torino esclusa vendeva assai di più del giornale della Fiat.
Io in corso Valdocco ci sono nato, nel palazzo di fronte al numero 3, sede della Gazzetta del Popolo, oggi palazzo Oreal, ho respirato fin da bambino l’aria dell’inchiostro ed il rumore delle linotype ma quando mi sono affacciato sulla soglia per intraprendere la professione la Gazzetta stava agonizzando. Per mia fortuna l’amministratore delegato dell’epoca mi ha preso in simpatia e vista la mia cocciutaggine mi ha chiesto se volevo passare alla carta stampata dopo l’esperienza televisiva, lontano da casa, in un altro giornale, le simile alla Gazzetta per filosofia e radicamento, il Gazzettino , a Venezia, e così è stato.
170 ANNI DI GAZZETTA Tornando alla Gazzetta del Popolo, oggi il quotidiano Piemontese se fosse ancora in vita si appresterebbe a festeggiare non 150, ma 170 anni dalla fondazione nel lontano 1848. In Largo IV Novembre nel cuore del Quadrilatero, a Torino, forse qualcuno avrà notato la statua che stringe nella mano un giornale: si tratta di Giovanni Battista Bottero, uno dei fondatori. Proprio su questa piazza uscivano i numeri freschi di stampa del giornale, lanciato nel 1848 sullo sfondo di un contesto politico delicato. Parte non indifferente giocò La Gazzetta del Popolo, nell’appoggiare la politica di Cavour durante tutto il Risorgimento. Al lettore era proposta al prezzo di cinque centesimi, ragione che in parte ne spiega il successo e la diffusione, dovuta anche al taglio patriottico incoraggiato dall’entusiasmo crescente che trionfò con l’Unificazione del 1861.
Opponendosi a qualunque influenza del clero sulla politica italiana, il quotidiano si concentrò su questioni care alla nascente borghesia liberale cui si rivolgeva, rendendosi portavoce di opinioni vicine a Crispi e mantenendo piena autonomia anche durante il fascismo. La Gazzetta del Popolo è stata una “scuola” riconosciuta di giornalismo per grandi firme che hanno trovato nel giornale un ambiente irripetibile per potersi formare, affrontando e superando anche le difficoltà più ardue. Come quando nel 1974, attraverso l’autogestione, si opposero con successo alla chiusura, e riuscirono a prolungare la vita del quotidiano. Peccato per l’accanimento giudiziario ed un fallimento pilotato, si sapeva da chi ma non ci si poteva opporre allora…I colleghi si sono sparpagliati nel mondo dell’informazione: dalla Stampa a Repubblica, dalla Rai al Corriere a Tuttosport all’Ansa. Un breve e doveroso ricordo, chapeaux.

giovedì 2 febbraio 2017

Cairo: Chi c'è basta per l'Europa. Milinkovic-Savic il nostro Donnarumma




 Il numero “8” sulla carta di identità del calcio mercato al presidente del Torino, Urbano Cairo non piace. Da qui la spiegazione nel giorno della presentazione di “Torino Channel” delle mancate mosse al mercato di riparazione. “Non vale la pena investire su giocatori dal costo oneroso e dalla carriera corta, meglio puntare sui giovani, su calciatori degli anni novanta o 2000”. Lucas Castro alla fine è rimasto al Chievo per “colpa” di quell’otto all’anagrafe e ancor più per i dieci milioni sparati dal Chievo. “Una cifra pazzesca, assurda per un giocatore che poi non ha fatto faville o cambiato le sorti della squadra”. “Di centrocampisti oggi ne abbiamo sette in rosa- aggiunge Cairo sciorinando nomi e numeri come un Bignami da tasca- ne avevamo nove prima della partenza di Vives e Aramu, abbiamo due giovani, Lukic e Gustafson da lanciare. Il mercato di gennaio è molto particolare i giocatori utili restano o partono a cifre folli, quelli disponibili non hanno giocato una gara o non hanno il passo del campionato ed hanno bisogno di tempo per entrare nei meccanismi della squadra. Tra campagna estiva ed invernale ho investito trentaquattro milioni, rispetto ai ventisei dell’anno prima ed i ventuno di tre anni fa. Il che non vuol dire che ci abbiamo provato fino alla fine e con giocatori sotto osservazione da un paio di anni, non dell’ultima ora, come Imbula. Ridendo e scherzando ho speso dieci milioni, abbiamo acquistato il “Donnarumma” di domani, Milinkovic-Savic,  riscattato Iago Falque e di Carlao  (ndr ’86) mi dicono un gran bene”. bene. Certe cifre le avrei spese per un giocatore del ’96 (Machach, 21 anni di proprietà del Tolosa, ndr)  ma non l'hanno venduto. Su Imbula lo Stoke ha fatto un giochetto di mercato, da un milione e 750 mila euro per il prestito al momento di chiudere ci siamo ritrovati con un riscatto obbligato di 15 milioni…e non sta giocando. Comprare per comprare non è da me- aggiunge Cairo- i soldi li investo al momento giusto e per i giocatori di prospettiva, non sono obbligato e reinvestirli subito e male”. Concetto che non fa una grinza. Se mai gli errori sono stati commessi un’estate fa, troppa fiducia su giocatori fermi da tempo o con problemi fisici, troppe scommesse. “Glik voleva andar via a tutti i costi, ed è anche stato venduto male per le cifre che girano oggi, fosse stato per me lo avrei messo nel salotto di casa, Bruno Peres con il modulo di Mihajlovic non avrebbe mai giocato e l’allenatore mi ha detto di venderlo per De Silvestri, Maksimovic il 20 di agosto è diventato uccel di bosco, il mister lo voleva morto volevo evitare situazioni penali pesanti” sorride Cairo.
L’idea dei tifosi è che così si punti solo a far plusvalenze (150 milioni nei dieci anni di presidenza) senza la volontà di tenere a lungo i giocatori per un Toro europeo.
“Il calcio è cambiato, praticamente tutti cedono prima o poi giocatori eccellenti. Il mercato è così. L’unica bandiera rimasta è Totti”.
Notizie da Mihajlovic? Vi siete parlati dopo il mercato?. “Non ho avuto tempo, ha parlato Petrachi, è tranquillo e assolutamente contento è stato tenuto al corrente del mercato. Obiettivo?. Abbiamo indicato l’Europa come traguardo in due anni. Crediamoci fino alla fine, facciamo più punti che nel girone d’andata, per noi già da record, poi vedremo”.